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Come funziona la macchina fotografica: piccola guida introduttiva

Nei nostri articoli ci siamo spesso occupati di spiegare una serie di funzioni delle moderne macchine reflex/mirrorless in modo da ottenere scatti sempre migliori... ma come fa una macchina fotografica digitale a catturare l'immagine che sta inquadrando? Come riesce a fermare il tempo trasformando in pixel digitali quello che osserviamo attraverso il mirino? Questa piccola guida cerca di spiegarvi quello che succede ogni volta che premete il pulsante di scatto di una macchina fotografica digitale o di uno smartphone.

Prima di addentrarci nella complessa architettura di una macchina fotografica, soffermiamoci su uno degli elementi fondamentali senza il quale non sarebbe possibile ottenere nessun tipo di fotografia. Immaginate di essere in una stanza buia, senza porte o finestre. Cosa vedete? Esatto... nulla. Il buio vi impedisce di percepire non solo gli oggetti presenti, ma tutto lo spazio che vi circonda. Ora continuate a immaginare di prendere una torcia e illuminare ciò che avete intorno a voi. Il fascio di luce si propaga in linea retta, colpisce un oggetto, rimbalza su di esso colpendo i nostri occhi permettendoci quindi di vedere cosa si trovi all'interno della stanza.

La luce, tutta la luce, si comporta come quel fascio emesso dalla torca. Viaggia in linea retta e rimbalzando sugli oggetti, colpisce il nostro occhio e il cervello elabora le informazioni luminose permettendoci di "vedere".

Le primissime macchine fotografiche, erano costituite da grandi scatole che presentavano un foro su un lato che veniva posizionato di fronte alla scena da catturare. La luce, viaggiando in linea retta, colpiva il foro, entrava nella scatola e i singoli raggi, incrociandosi proiettavano un'immagine rovesciata e sfocata sulla parete opposta al foro. Per far si che l'immagine fosse sufficientemente visibile, era necessario che l'illuminazione all'interno della scatola fosse considerevolmente più basso di quella che circondava l'oggetto, da qui il nome “camera oscura”.

Questo sistema, era conosciuto fin da tempi decisamente anteriori all'invenzione della fotografia. Infatti molti pittori utilizzavano questa tecnica per riprodurre su tele o superfici da dipingere una determinata immagine. Con l'ausilio di speciali specchi l'immagine veniva “raddrizzata” e resa più nitida, in modo da poterne ricalcare i bordi sulla superficie da dipingere. Il passo successivo per la cattura dell'immagine avvenne quando furono usati materiali sensibili alla luce in grado quindi, di reagire chimicamente con la fonte luminosa, permettendo di imprimere l'immagine su una superficie (lastra di vetro, carta, ecc).

Nelle primissime sperimentazioni con questa tecnica, visto che il foro era di dimensioni davvero ridotte, potevano volerci molte ore per imprimere un'immagine sulla superficie fotosensibile e questo ha portato all'invenzione di elementi di corredo che permettessero contemporaneamente di velocizzare i tempi di cattura e permettere un'ottimizzazione della messa a fuoco. Sicuramente il più importante è l'obiettivo. L'obiettivo infatti ha la capacità di catturare i raggi luminosi che colpiscono il soggetto, provenienti da varie angolazioni, e grazie al sistema di lenti presente al suo interno, incanala tali raggi verso un unico punto, creando un'immagine nitida. Se i raggi non convergono nello stesso punto quella che si ottiene è un'immagine fuori fuoco. La complessa struttura presente all'interno dell'obiettivo permette di muovere il gruppo lenti regolandone la distanza dalla superficie fotosensibile in modo da ottenere una perfetta messa a fuoco.

Un'altra complessa funzione del gruppo di specchi è quello di permettere l'ingrandimento dell'immagine. Negli obbiettivi definiti zoom, quando il gruppo di lenti si allontana dal sensore, gli elementi si “avvicinano”. Quando si parla, quindi, di lunghezza focale, relativamente ad un obiettivo, si intende la distanza che intercorre tra il punto in cui i raggi luminosi incontrano la lente più esterna dell'ottica e il punto in cui incontrano la superficie fotosensibile. Per esempio, se parliamo di un obiettivo con lunghezza focale 300 mm, significa che la luce necessita di 300 mm per essere convogliata dalla lente frontale al punto di messa a fuoco sulla pellicola/sensore.

Ora che sappiamo come la luce viene catturata dalla macchina, cosa avviene all'interno di essa in modo che l'immagine venga registrata in maniera permanente? Le superfici fotosensibili (lastre, pellicole, certe...), sono costituite da diversi strati di materiali sensibili alla luce e rimangono al buio fin quando non viene scattata la fotografia. Con il famoso click, si attiva l'otturatore, che permette alla luce di filtrare attraverso la lente, colpendo la superficie e alterandone le proprietà chimiche. Ogni punto della pellicola/lastra verrà modificato in base a quanta luce lo colpisce, imprimendo quindi un'immagine. Per non far subire ulteriori modifiche alla superficie fotosensibile, questa deve essere trattata con specifici bagni chimici per impedire l'alterazione con l'ulteriore esposizione alla luce, fissando quindi l'immagine in maniera permanente.

Ma cosa avviene invece quando al posto della pellicola è presente un sensore digitale? Diciamo che la struttura di questo elemento è decisamente più vicina ad un pannello solare che ad un pellicola. Ogni sensore infatti, in base alle sue dimensioni, è costituito da una miriade di pixel verdi, rossi e blu che vengono colpiti dalla luce che attraversa l'otturatore e la lente frontale e producono energia che viene misurata da un minuscolo computer integrato all'interno del corpo macchina. La misurazione della quantità di energia emessa da ciascun pixel, permette al sensore di “capire” quali sono le aree chiare e quelle scure, e poiché ogni pixel ha un valore cromatico, il processore è in grado di definire i colori della scena analizzando le registrazioni dei pixel vicini tra loro. Riassemblando tutte queste informazioni, il processore è quindi in grado di approssimare le forme e i colori della scena.

Poichè ogni pixel è in grado di registrare informazioni sia sulla luce che sul colore, i sensori con più pixel (i famosi megapixel) sono in grado di catturare una quantità maggiore di dettagli. Questo è il motivo per cui le case produttrici si fanno la guerra a suon di numeri presentando sul mercato sensori con una quantità di pixel sempre maggiori. Questo però implica alcuni problemi. Infatti, oltre al numero di pixel, è fondamentale anche la dimensione del sensore, perchè un numero eccessivamente alto di pixel in un sensore di piccole dimensioni, può peggiorare effettivamente la qualità dell'immagine. Ciò è dovuto al fatto che le dimensioni di questi pixel saranno ovviamente piccolissime, quindi in grado di ricevere una inferiore quantità di luce e di conseguenza elevato rumore sull'immagine (potete trovare un approfondimento sui sensori in un nostro precedente articolo qui )

Se è vero che la fotocamere e la lente frontale, permettono tecnicamente di catturare una determinata immagine, quello che rende davvero speciale una fotografia è l'estro del fotografo che la sta “catturando”. Questo è il motivo per cui la fotografia è scienza quanto arte ed è il motivo per cui la medesima scena, fotografata da persone diverse, darà risultati diversi. E qui entra in gioco un altro elemento di cui abbiamo parlato e cioè la composizione, in grado di comunicare come il fotografo percepisce una determinata scena. In questi casi sicuramente un ottica zoom permette di avere una libertà di azione decisamente maggiore, perchè non ci si deve avvicinare eccessivamente al soggetto (basti pensare all'ambito della fotografia naturalistica) permettendo di cogliere degli atteggiamenti assolutamente naturali e non impostati.

Altro elemento molto importante per la realizzazione dei nostri scatti è l'esposizione. Abbiamo trattato questo argomento in vari articoli (lunga esposizione , ritratti high key, ritratti low key), osservando come l'esposizione, cioè la quantità di luce che definirà la nostra composizione, possa essere utilizzata anche in maniera creativa e non solo per ottenere una foto correttamente bilanciata nelle luci e nelle ombre.

Dal punto di vista prettamente tecnico, una foto corretta, presenta un ben determinato bilanciamento delle zone scure e di quelle illuminate, quindi non deve risultare sottoesposta (troppo scura) ne tanto meno sovraesposta (praticamente bruciata). In nostro aiuto può venire l'esposimetro interno alla macchina che consente di capire come la macchina sta percependo l'immagine che stiamo inquadrando e ci permetterà di intervenire manualmente sui comandi a nostra disposizione per modificare la quantità di luce in ingresso.

Altro elemento di sicuro aiuto sia per i principianti, ma anche per chi è più pratico della materia è stata l'introduzione dell'autofocus. Infatti sulla maggior parte delle macchina a pellicola, più o meno fino alla fine degli anni '70, la messa a fuoco dell'immagine era rigorosamente manuale. Una volta inquadrato il soggetto, il fotografo doveva muovere la ghiera posta sull'obiettivo e mettere a fuoco guardando nel mirino. Con l'introduzione dell'autofocus, invece, il compito è riservato alla macchina che metterà automaticamente a fuoco il vostro soggetto semplicemente schiacciano il pulsante di scatto a metà corsa. Può capitare che non sempre l'automatismo riesca a soddisfare le vostre esigenze, perchè a seconda di come avete effettuato i settaggi, la macchina decide qual è il punto di messa a fuoco che magari non è quello che volete voi, ma tale funzione risulta essere di sicuro aiuto soprattutto in quelle situazioni in cui necessaria un'alta velocità di movimento e quindi di reattività della macchina.

Oggi la tecnologia ha fatto passi da gigante permettendo anche agli smartphone di scattare eccezionali immagini utilizzando automatismi e intelligenza artificiale. Se è vero che oggi tutti possiamo fare click e ottenere un bello scatto, lo dobbiamo a quei pionieri che hanno cominciato studiando le immagini proiettate attraverso quel piccolo foro di cui abbiamo parlato all'inizio del nostro articolo.

Terminiamo la nostra piccola dissertazione sottolineando ancora una volta che per quanta tecnologia possa avere una determinata attrezzatura, rimane sempre e solo attrezzatura. Quello che farà la differenza sarà sempre il modo in cui vedete il mondo, come lo interpretate attraverso i vostri occhi e la vostra creatività.

 

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