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Richard Avedon

Nei nostri ultimi articoli, abbiamo affrontato aspetti tecnici relativi sia alle componenti elettroniche delle varie attrezzature fotografiche sia allo studio dell'illuminotecnica, elementi fondamentali da padroneggiare per ottenere uno scatto corretto. Ma la tecnica da sola non basta. La fotografia, come ogni forma d'arte, nasce prima dall'immaginazione dell'artista (in questo caso il fotografo), che poi deve riuscire, tecnicamente, con gli strumenti a sua disposizione, a rendere "concreta" l'immagine che si è formata nella sua testa. Il risultato finale, quindi è un'insieme di elementi, molti dei quali fanno parte della sensibilità di ognuno di noi, che ci differenzia gli uni dagli altri, rendendoci unici. Uno dei consigli che riteniamo sia davvero fondamentale, quando ci si approccia a questo tipo di attività è osservare, guardare, imprimersi nella mente le grandi opere del passato e, ovviamente, studiare con attenzione i lavori dei grandi fotografi.

Un grande tra i grandi di cui vanno sicuramente ammirate le opere è Richard Avedon, uno dei grandi maestri della fotografia della seconda metà del XX secolo.

Nato a New York nel 1923 e morto in Texas nel 2004, è considerato uno dei più grandi fotografi ritrattisti che, grazie al suo particolare stile e occhio, ha lasciato una forte impronta soprattutto nel settore della fotografia di moda.

Come dicevamo, Avedon nacque a New York, città ricca di fermenti culturali, e ben presto si manifestarono in lui i primi accenni di interesse verso la fotografia. Infatti divenne membro del club fotografico della Young Men's Hebrew Association (YMHA) quando aveva solo 12 anni, iniziando a coltivare una passione che non lo avrebbe più abbandonato.

Il suo lavoro di ritrattista, cominciò in maniera piuttosto anomala, quando nel 1942, durante la seconda guerra mondiale si arruolò nella Marina Mercantile come fotografo e gli venne assegnato il compito di fotografare sia le autopsie che le foto per i documenti di identità dei suoi compagni di camerata. Durante un'intervista Avedon dichiarò “...Il mio lavoro era fare fotografie di identità. Devo aver fotografato centomila volti prima di rendermi conto che stavo diventando un fotografo..."

Probabilmente il riprendere due aspetti della vita così distanti, ma allo stesso tempo così connessi tra loro, ha in qualche modo sviluppato una particolare sensibilità che si sarebbe espressa bene presto.

Nel 1944 infatti, lasciò la Marina per dedicarsi interamente alla sua passione e diventare un fotografo professionista. Fu in questo periodo che cominciarono i suoi primi lavori di moda grazie anche al suo incontro con Alexey Brodovitch che lo introdusse prima al Design Laboratory della New School of Social Research e poi, all'età di 22 anni, presso la redazione di Harper's Bazar. Qui Avedon rivoluzionò completamente il concetto di foto di moda, non usando più la fotografia in studio, con modella statiche e irrigidite, ma ambientando gli scatti nelle strade, nei locali notturni, al circo o sulla spiaggia, dove le persone sono più naturali, i volti sorridenti e le pose dinamiche e inconsuete.

Questo nuovo stile diviene il suo biglietto da visita, la sua firma inconfondibile e, sotto la tutela di Brodovitch, diventa ben presto il fotografo di punta della rivista Harper's Bazaar. Nonostante Avedon abbia fotografato decine e decine di modelle e attrici, la sua unica e vera musa rimase sempre Audrey Hepburn il cui volto è stato immortalato innumerevoli volte: il feeling tra i due permise alla nota attrice di essere talmente disinvolta di fronte alla macchina fotografica da rendere ogni scatto una vera e propria opera d'arte.

Dopo il 1965, a causa di una valanga di critiche per aver collaborato con modelli di colore, Avedon lasciò Harper's Bazaar seguendo Diana Vreeland, direttrice di Vogue America, lavorando alla prestigiosa rivista e firmando gran parte delle copertine fino all’arrivo di Anna Wintour nel 1988.

Nel frattempo Avedon realizzò anche le campagne pubblicitarie per diversi brand, tra cui Gianni Versace, Calvin Klein e Revlon e lavorò con altre riviste specializzate, come Life.

Il suo occhio curioso e critico, era affascinato dalla capacità della fotografia di suggerire la personalità ed evocare la natura intima dei suoi soggetti. Ha immortalato pose, acconciature, atteggiamenti abbigliamento e accessori come elementi vitali e rivelatori di un'immagine. Aveva un profondo rispetto e fiducia nella natura bidimensionale della fotografia, piegandone le regole ai sui scopi stilistici e narrativi.

Uno dei grandissimi pregi del lavoro di Avedon fu quello di annullare il confine tra fotografia commerciale e la fotografia artistica, dando vita ad alcune della più famose campagne pubblicitarie della storia americana.

Queste campagne hanno permesso ad Avedon di perseguire progetti di respiro più ampio, in cui ha esplorato le sue passioni culturali, politiche e personali. E' infatti noto per i ritratti del movimento americano per i diritti civili, la guerra in Vietnam e un ciclo famosissimo di foto del padre, Jacob Israel Avedon, che, malato di cancro, viene ritratto dall'inizio della malattia alla morte, in una serie di immagini dal fortissimo impatto emotivo.

Nel 1976, per Rolling Stone rivista, ha prodotto "The Family", un ritratto collettivo dell'élite di potere americana al momento delle elezioni per il bicentenario del paese. Dal 1979 al 1985, ha lavorato a lungo su commissione dell'Amon Carter Museum of American Art, producendo infine la mostra e il libro "In the American West", un progetto durato più di 5 anni e articolato in più di 700 ritratti che pongono l’accento e l’attenzione verso gli ultimi, gli invisibili, gli emarginati che impiegano le loro forze e il loro impegno in lavori duri, umili e certamente non decantati.

I soggetti sono tutti fotografati alla luce del giorno, su un fondale bianco con lo sguardo rivolto in camera, mettendo in evidenza elementi fortemente disturbanti come i vestiti sporchi o strappati, i volti ricoperti di carbone o fuliggine, capelli spettinati, immagini quindi, in netto contrasto con il mondo patinato delle fotografie di moda e delle celebrità a cui lo spettatore era abituato fin a quel momento.

Con questo progetto, infatti, Avedon, che ha dedicato gran parte della sua carriera alla fotografia di moda, ha voluto dimostrare che il suo lavoro era rivolto anche ad altri aspetti della realtà. A tal proposito, si recò a Berlino per il capodanno del 1989, in occasione della caduta del muro per fotografare lo straordinario evento storico attraverso gli sguardi e i volti delle persone presenti.

Nel 1992 diventò collaboratore fisso per le prestigiose riviste The New Yorker e Rolling Stone, mentre nel 1995 e 1997 realizzò le edizioni del prestigioso calendario Pirelli.

Nel 2003, un anno prima della sua morte, gli fu conferito il titolo di Membro Onorario della The Royal Photographic Society ricevendo la medaglia in occasione del 150esimo Anniversario dell’istituzione come riconoscimento al contributo straordinario che ha dato nel campo della fotografia.

Nel 2004, ottantunenne ancora in piena attività, Avedon viene colpito da ictus cerebrale mentre sta realizzando per conto del New Yorker un servizio fotografico sulle elezioni presidenziali americane. Muore due giorni dopo a San Antonio, Texas.

Tra le sue foto celebri, tutte in bianco e nero, Avedon dimostra tutta l'essenza della sua sensibilità cogliendo il vero aspetto e il carattere di chi viene raffigurato: lo scatto fatto a Marylin Monroe nel 1957 è come se dia una visione tangibile di ciò che tutti noi sappiamo della sua mascherata sofferenza.

Lo sguardo perso, malinconico e stanco della Monroe contornato da una smorfia di tristezza è una immagine ben distante dalla visione abituale di lei.

Ma ancora più sbalorditivo è il ritratto del 1955, al circo d’Hiver a Parigi, della famosa modella Dovima vestita in abito di seta Dior in posa fra gli elefanti (questo scatto venne battuto all’asta circa 1,2 milioni di dollari).

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