Meta utilizzerà i dati pubblici degli utenti per addestrare la sua AI

Negli ultimi mesi Meta – l'azienda madre di Facebook, Instagram e Whatsapp – ha annunciato una novità destinata a far discutere: l'utilizzo dei dati che gli utenti condividono pubblicamente sulle sue piattaforme per addestrare i propri sistemi di Intelligenza Artificiale generativa. In altre parole, post, commenti, foto, video e altri contenuti “pubblici” condivisi da utenti su Facebook e Instagram saranno “dati in pasto” all’AI di Meta per migliorarne le capacità. Questa notizia ha sollevato un acceso dibattito, soprattutto in Italia, toccando questioni di privacy, di diritti degli utenti (in particolare il diritto di opposizione garantito dal GDPR) e di impatto sui creatori di contenuti.

In Italia si parla molto della necessità di dare il consenso entro maggio 2025 per l’uso dei dati personali da parte di aziende come Meta perché le normative sulla privacy, in particolare il GDPR e le leggi italiane di adeguamento, richiedono che il trattamento dei dati personali sia lecito solo se basato su un consenso informato, libero ed esplicito degli utenti.

Anche se Meta ha già utilizzato dati per addestrare l’intelligenza artificiale in passato, la normativa europea e italiana si sta rafforzando per garantire che gli utenti abbiano un controllo più chiaro e consapevole su come i loro dati vengono usati, soprattutto per finalità nuove e sensibili come l’addestramento AI. Il Garante per la protezione dei dati personali in Italia ha pubblicato provvedimenti e piani ispettivi per il 2025 che mirano a far rispettare queste regole e a tutelare i cittadini dal trattamento non autorizzato o non trasparente dei dati, con particolare attenzione a settori delicati come il tracciamento online e la profilazione.

Il consenso entro maggio 2025 diventa quindi un momento cruciale perché:

  • Serve a regolare in modo trasparente e legale l’uso dei dati personali in un contesto in rapido cambiamento tecnologico.

  • Permette agli utenti di decidere se autorizzare o meno il trattamento dei propri dati per scopi come l’addestramento di intelligenze artificiali.

  • È richiesto dalla normativa vigente per evitare sanzioni e garantire la liceità del trattamento dati da parte delle aziende.

Di seguito analizziamo cosa farà esattamente Meta con i dati degli utenti, quando inizierà questo processo, quali dati sono coinvolti o esclusi, quali tutele prevede il GDPR e come è possibile opporsi (includendo i link ufficiali ai moduli di opposizione per Facebook, Instagram e anche per chi non ha un account).

Nella seconda parte, seguirà una riflessione personale sui rischi e le opportunità di questo approccio di Meta, con un invito alla consapevolezza rivolto in particolare a fotografi, videomaker, designer e in generale ai creativi che pubblicano opere online.

Cosa farà Meta con i dati degli utenti (e quali dati userà)

Meta ha confermato che inizierà a utilizzare i contenuti pubblici degli utenti europei per addestrare le sue intelligenze artificiali generative. In particolare verranno raccolti e analizzati tutti i contenuti condivisi pubblicamente su Facebook e Instagram da utenti maggiorenni: post testuali, stati, commenti, didascalie, immagini e perfino video come Reel e Storie. Oltre a ciò, Meta includerà nel training anche le interazioni che gli utenti hanno con gli strumenti di AI dell’azienda – ad esempio le domande fatte al chatbot Meta AI integrato nelle app (presente su WhatsApp, Messenger, Instagram, ecc.). In pratica, ogni volta che un utente europeo pone una domanda all'assistente “Meta AI” o utilizza funzioni basate sull'AI di Meta, anche quelle interazioni saranno registrate e utilizzate per migliorare i modelli di machine learning dell'azienda.

Lo scopo dichiarato di Meta è addestrare e migliorare i suoi modelli di intelligenza artificiale generativa, come il modello linguistico LLaMA e il chatbot Meta AI, rendendoli più “su misura” per il pubblico europeo. Meta sostiene che, grazie a questi dati, le sue AI impareranno meglio le lingue, le culture e i contesti locali degli utenti UE, fornendo in futuro risposte e funzionalità più pertinenti. In altri termini, i nostri post, commenti, foto e perfino le nostre domande poste all'assistente AI diventeranno materiale di training per insegnare alle AI di Meta a “ragionare” e generare contenuti con maggiore efficacia.

Quali dati saranno esclusi? Meta ha specificato che non utilizzerà informazioni private o sensibili. In particolare, non verranno usati i messaggi privati scambiati su WhatsApp, Messenger o Direct (che peraltro sono protetti da crittografia end-to-end e non sono accessibili nemmeno a Meta). Inoltre, saranno esclusi tutti i contenuti pubblicati da utenti minorenni (under 18). Va sottolineato che l'uso dei dati riguarda solo ciò che è stato condiviso con un’impostazione di visibilità pubblica: ad esempio, se i post Facebook sono visibili solo agli amici o se il profilo Instagram è privato, quei contenuti non dovrebbero rientrare nell’addestramento. In teoria, quindi, foto e post non pubblici (condivisi solo con una cerchia ristretta) dovrebbero restare esclusi.

Tuttavia, la realtà potrebbe essere più complessa. Meta utilizzerà tutti i dati “pubblici” disponibili, senza collegarli direttamente all’identità dell’utente (i contenuti saranno analizzati in forma anonima, non per rispondere a domande specifiche su una persona). Ciò significa, ad esempio, che anche se un utente si oppone all’uso dei propri dati (come vedremo più avanti), alcune sue informazioni potrebbero comunque finire nel calderone dell’AI. Come è possibile? Pensiamo ai casi in cui i nostri dati compaiono nei contenuti altrui: ad esempio, una foto in cui siamo ritratti pubblicata da un amico, un commento in cui qualcuno ci menziona, oppure un nostro commento lasciato su un post pubblico di una pagina Facebook. Questi elementi – essendo pubblicati da altri o comunque visibili pubblicamente – potrebbero essere considerati dal sistema a meno che non si intraprenda un’opposizione specifica anche per essi. Il Garante Privacy italiano ha infatti avvisato che dati di minorenni o di non utenti presenti in contenuti altrui (postati da adulti) rischiano di essere inclusi nel training; in questi casi consiglia ai genitori/tutori o agli interessati di esercitare il diritto di opposizione utilizzando il modulo dedicato ai non utenti. In sintesi, Meta raccoglierà il più possibile dai nostri contenuti pubblici: restano fuori i messaggi privati, i dati dei minorenni (salvo appunto comparsate in contenuti di terzi) e tutto ciò che non è stato condiviso pubblicamente.

Quando inizierà (o è iniziato) questo processo?

Meta ha comunicato l’avvio di questa nuova forma di trattamento dati nella primavera 2025. In particolare, il 14 aprile 2025 l’azienda ha notificato agli utenti europei l’intenzione di iniziare ad addestrare Meta AI con i dati degli utenti, avvisando che il processo sarebbe partito entro fine maggio 2025. A partire da metà aprile, molti utenti di Facebook e Instagram in Europa hanno visto comparire notifiche in-app (e email) che spiegavano la novità: quali tipi di dati sarebbero stati usati e a che scopo, con un link diretto al modulo per opporsi (non so voi, ma non mi pare di aver ricevuto alcuna comunicazione diretta da Meta, comunque procediamo).

Meta ha previsto un periodo transitorio di alcune settimane prima di attivare effettivamente l’uso dei dati, in modo da informare tutti gli interessati e dar loro modo di esercitare i propri diritti.

La data chiave è arrivata ora: fine maggio 2025. Secondo le indicazioni ufficiali, il 26 maggio 2025 era l’ultimo giorno utile per opporsi in tempo all’uso dei dati già pubblicati. Dal 27 maggio 2025, Meta può iniziare ad utilizzare tutti i contenuti pubblici passati degli utenti che non si sono opposti, e le eventuali opposizioni inviate dopo questa scadenza avranno effetto solo per i dati futuri. In altre parole, chi non ha comunicato il proprio dissenso entro fine maggio ha di fatto acconsentito (tacitamente) all’uso anche dei contenuti che ha condiviso in passato, mentre chi dovesse opporsi in seguito potrà al massimo impedire che nuovi post o dati futuri vengano inclusi nel training, ma non potrà ottenere la rimozione dei dati già utilizzati fino a quel momento.

È importante notare che, al di là della questione “retroattività”, il diritto di opposizione rimane esercitabile in qualsiasi momento anche dopo maggio 2025: se per qualche ragione non avete fatto in tempo, potete sempre inviare il modulo ora per evitare almeno che i vostri post futuri finiscano negli algoritmi di Meta. Semplicemente, l’opposizione tardiva non potrà “risucchiare” dal database dell’AI ciò che è già stato appreso fino a quel momento.

Perché in Italia se ne parla tanto? Per diversi motivi. In primo luogo perché la notizia ha implicazioni privacy enormi e in Italia – complice anche il precedente clamore sul caso ChatGPT nel 2023 – c’è un’alta sensibilità su questi temi. Ma soprattutto perché il Garante per la Protezione dei Dati Personali (GPDP) italiano è intervenuto attivamente sulla vicenda, richiamando Meta ai suoi doveri e informando i cittadini dei loro diritti. Già a fine aprile 2025 il Garante Privacy ha diffuso una comunicazione ufficiale ricordando a tutti che «gli utenti di Facebook e Instagram, e anche i non utenti i cui dati possono trovarsi sulle piattaforme, hanno il diritto di opporsi al trattamento dei propri dati personali per l’addestramento dell’AI di Meta, utilizzando i moduli online messi a disposizione dalla società». Il Garante ha sottolineato come l’opposizione esercitata entro fine maggio avrebbe evitato l’uso di tutte le proprie informazioni personali nei training, mentre «in caso di mancata opposizione, Meta utilizzerà tutti i predetti dati per l'addestramento delle proprie intelligenze artificiali». Parole chiarissime, che molti media italiani hanno ripreso, alimentando l’attenzione pubblica sul tema.

In aggiunta, l’Autorità italiana (insieme ad altre autorità europee) ha aperto un’istruttoria per verificare la conformità di questo nuovo trattamento ai principi del GDPR. In particolare, i Garanti privacy europei vogliono valutare la liceità della base giuridica invocata da Meta (ossia il “legittimo interesse”, su cui torneremo a breve), l’effettiva efficacia del meccanismo di opposizione offerto agli utenti e la compatibilità tra le finalità originarie per cui i dati erano stati raccolti (uso del social) e questo nuovo utilizzo per l’AI. Sono state anche chieste spiegazioni a Meta sull’uso di immagini di minorenni pubblicate da adulti, a tutela dei più giovani. Dunque in Italia (come in Europa) se ne parla molto perché le autorità stanno vigilando: c’è grande attenzione a garantire che Meta rispetti le regole della privacy e che gli utenti siano messi in condizione di scegliere liberamente e consapevolmente se contribuire o meno all’addestramento dell’AI.

Il ruolo del GDPR e il diritto di opposizione

Tutto questo scenario è reso possibile – e contemporaneamente regolato – dal GDPR, il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati attivo in Europa. Meta, infatti, non sta chiedendo un consenso esplicito agli utenti per usare i loro dati nell’AI, ma sta agendo sulla base di una diversa base giuridica prevista dal GDPR: il legittimo interesse dell’azienda. In pratica Meta sostiene di avere un interesse legittimo a migliorare i propri servizi di AI (interesse che, a suo dire, non lederebbe in modo prevalente i diritti degli utenti) e quindi di poter utilizzare i dati disponibili a questo scopo senza dover chiedere un “opt-in” preventivo a ciascuno.

Il GDPR però bilancia questa facoltà con un importante correttivo: l’art. 21 del Regolamento riconosce a ogni interessato il diritto di opporsi in qualsiasi momento a trattamenti di dati personali basati sul legittimo interesse. È proprio questo diritto che il Garante (e la UE) hanno voluto far valere: se l’utente esercita l’opposizione, l’azienda deve astenersi dall’includere (o proseguire a usare) i suoi dati in quel trattamento, a meno che non dimostri motivi vincolanti prevalenti. Nel caso di Meta, appare difficile sostenere motivi che hanno forza di legge sugli interessi e i diritti degli utenti, quindi l’opposizione dovrebbe essere accettata senza discussioni – ed è infatti quello che Meta ha promesso: «onoreremo tutte le opposizioni ricevute», ha dichiarato nel comunicato ufficiale.

Possiamo quindi dire che il GDPR ha costretto Meta a prevedere un meccanismo di opt-out per gli utenti europei, cosa che al di fuori dell’UE non sarebbe obbligata a fare. Come sottolineano gli esperti, solo in Europa abbiamo una normativa che permette espressamente all’interessato di dire “no” a questi utilizzi dei propri dati. Negli USA, ad esempio, Meta può (allo stato attuale) usare liberamente i post pubblici degli utenti per addestrare le sue AI senza dover offrire un modulo di opposizione – mentre in Europa grazie al GDPR possiamo provare a “rinunciare” a contribuire, esercitando un nostro diritto e mettendo potenzialmente un freno (almeno sui nostri dati personali).

È importante comprendere che il diritto di opposizione non equivale a un generico “opt-out” commerciale, ma è un diritto soggettivo tutelato per legge: non serve motivare la richiesta né pagare nulla, basta manifestare la propria volontà e il titolare (Meta) è tenuto a darvi seguito. Meta ha dovuto implementare una modalità semplice e accessibile per farlo (su pressione delle autorità), integrandola nei suoi Privacy Center di Facebook e Instagram. Vediamo nel dettaglio come si esercita questo diritto.

Come opporsi all’uso dei propri dati: moduli per Facebook, Instagram e per i non utenti

Esercitare il diritto di opposizione con Meta è relativamente semplice: bisogna compilare un breve modulo online. Meta ha predisposto tre moduli distinti in base al caso:

  1. Utenti Facebook: possono usare il modulo di opposizione su Facebook. Verrà richiesto di fornire alcuni dati identificativi (ad esempio l’email associata all’account) per poter collegare la richiesta al proprio profilo. Non è necessario scrivere alcuna motivazione nel campo testo – basta inviare il form confermando che ci si oppone all’uso dei propri dati personali per l’addestramento dell’AI Dopo l’invio, si riceverà una conferma da Meta (via email) dell’avvenuta registrazione della richiesta.

  2. Utenti Instagram: hanno a disposizione un modulo di opposizione su Instagram analogo. Anche qui si compilano i campi richiesti (essenzialmente per verificare l’account) e si invia la richiesta di opt-out.

  3. Non utenti (o altri casi speciali): Meta ha previsto anche un modulo per i non utenti, dedicato a persone che non hanno un account Facebook/Instagram ma le cui informazioni potrebbero comunque trovarsi sulle piattaforme (ad esempio perché un amico ha pubblicato una loro foto, o perché sono menzionati/taggati da qualche parte). Questo modulo non richiede login ed è pubblico; va compilato con i dati personali della persona interessata e permette di richiedere a Meta di non utilizzare qualsiasi informazione ad essa relativa presente nei contenuti pubblici delle piattaforme. Anche i genitori di minorenni (o i minorenni stessi, se sufficientemente grandi) possono utilizzare questo modulo per opporsi in nome del minore, nel caso in cui dati del minore compaiano in post altrui.

Vale la pena ribadire che c’era una scadenza per presentare queste opposizioni affinché fossero efficaci anche sui dati passati: come spiegato, tale termine era fine maggio 2025. Meta nei moduli indica esplicitamente il 27 maggio 2025 come data ultima per garantire la retroattività dell’opposizione. Le opposizioni inviate dopo quella data verranno comunque accolte, ma solo per i dati futuri. Dunque, se pensate di essere in ritardo, potete sempre esercitare il diritto più tardi, sapendo però che ciò che è stato già “appreso” dall’AI rimarrà negli archivi.

Cosa succede dopo aver inviato il modulo? Meta dichiara che tratterà la richiesta e escluderà i dati personali dell’utente dai set di addestramento delle sue AI. L’utente dovrebbe ricevere una conferma (via email o notifica) e da quel momento in poi i suoi contenuti pubblici non verranno più “catturati” per scopi di training. Attenzione: come già discusso, ciò non può garantire la rimozione di dati già eventualmente trattati se l’opposizione è arrivata dopo l’inizio del training. Inoltre, se in futuro pubblicherete nuovi contenuti in modalità pubblica dopo aver opposto rifiuto, in teoria questi non dovrebbero essere utilizzati – a meno che non cambiate idea revocando l’opposizione. L’opposizione è infatti revocabile: se per qualsiasi ragione un utente volesse concedere a Meta l’uso dei propri dati nell’AI (ad esempio per contribuire volontariamente al progetto), dovrebbe poter ritirare la propria istanza di opposizione attraverso le impostazioni privacy. Al momento Meta non ha pubblicizzato una procedura di revoca, ma presumibilmente basterà contattare il supporto o aggiornare le preferenze nel Centro privacy.

Prima di passare alla riflessione: anche opponendosi, c’è qualche dato che potrebbe comunque essere utilizzato? Purtroppo , qualche margine di incertezza resta. Come evidenziato sopra, se altre persone hanno pubblicato contenuti che vi riguardano (es. una vostra foto in cui siete presenti, o un commento con il vostro nome), quei dati potrebbero essere usati dall’AI di Meta a meno che non vi opponiate anche tramite il modulo per non utenti. In generale, Meta ha dichiarato che durante l’addestramento non terrà traccia dell’account originario dei contenuti utilizzati: questo implica che l’AI digerirà testi, immagini e video “slegati” dall’identità di chi li ha creati. Ciò da un lato tutela la privacy (nessuno potrà chiedere all’assistente di svelare i post di una persona specifica), ma dall’altro significa che se qualche vostro contenuto fosse sfuggito al filtro (ad esempio perché pubblicato in un contesto pubblico diverso dal vostro profilo), potrebbe finire nell’addestramento anche se voi avete negato il consenso per il vostro account. D’altronde Meta stessa, con un linguaggio non troppo rassicurante, ha ammesso che potremmo finire nell’addestramento del modello anche se ci opponiamo, proprio per queste situazioni limite. Insomma, l’opposizione garantisce di non far usare direttamente i dati del nostro account, ma non offre una protezione totale al 100% in senso assoluto: qualche briciola di informazione pubblica potrebbe comunque entrare nei dataset se non è chiaramente riconducibile a noi o se proviene da terzi. È un aspetto su cui sia gli utenti che le authority dovranno vigilare.

Implicazioni per fotografi, content creator e artisti visivi

Un capitolo a parte meritano le conseguenze per i creativi – fotografi, illustratori, videomaker, designer e in generale chi pubblica opere d’ingegno visive (e testuali) online. Piattaforme come Instagram e Facebook sono da anni vetrine fondamentali per questi professionisti e appassionati: caricando le proprie foto, grafiche o video, essi condividono creatività con il mondo, sperando di ottenere visibilità, feedback o ingaggi. L’idea che tali contenuti ora possano essere utilizzati da Meta per addestrare un’AI generativa apre scenari complessi.

Da un lato, c’è preoccupazione. Molti artisti e fotografi temono che le proprie opere, raccolte negli anni online, diventino semplicemente “carburante” per algoritmi di cui non hanno controllo e da cui altri trarranno vantaggio commerciale. Immaginate di aver scattato centinaia di splendide foto e di averle pubblicate su Instagram: ora tutte quelle immagini potrebbero essere analizzate dall’AI di Meta per imparare cosa raffigurano, che stile hanno, magari assorbire elementi creativi del vostro lavoro – senza che il vostro nome venga citato o che voi ne ricaviate alcun beneficio diretto. In futuro, Meta potrebbe sviluppare strumenti di generazione automatica di immagini o di video (sull’onda di quello che già fanno DALL-E, Midjourney, Stable Diffusion, ecc.), e quelle AI avrebbero “visto” anche le vostre foto durante l’addestramento. Il rischio percepito è quello di un “sfruttamento” del lavoro creativo: l’AI impara dai creatori umani, e poi genera contenuti nuovi potenzialmente in stile simile, aumentando la concorrenza e diluendo l’originalità delle opere autentiche.

Non a caso, l’annuncio di Meta ha scatenato un vero e proprio tsunami di reazioni negative tra molti utenti e creator, preoccupati proprio di come impedire l’utilizzo dei propri contenuti per “foraggiare” l’algoritmo. Esistono già precedenti nel mondo dell’arte digitale: basti pensare alle proteste di illustratori e fotografi contro le AI che hanno addestrato i loro modelli su milioni di immagini prese dal web (senza autorizzazione degli autori). Diversi artisti internazionali hanno intentato cause legali per violazione del copyright verso servizi di AI generativa, proprio sollevando il problema che le proprie opere d’arte erano state utilizzate come training senza permesso. Nel caso di Meta, la questione è delicata: da un punto di vista legale, gli utenti accettano nei termini di servizio che i contenuti da loro pubblicati possano essere utilizzati da Facebook/Instagram per “migliorare i servizi” (una clausola generica che probabilmente copre anche l’addestramento AI). Ma dal punto di vista etico e professionale, per un creativo è lecito sentirsi espropriato di qualcosa: la propria foto di un tramonto che finisce nell’AI di Meta potrebbe un domani contribuire a generare migliaia di immagini di tramonti simili per altri utenti, senza che l’autore originale ne sappia nulla o venga riconosciuto.

Dall’altro lato, esistono anche opportunità e visioni meno allarmistiche. Meta sostiene che un’AI più “intelligente” e addestrata sui nostri contenuti offrirà nuove funzioni utili proprio ai creatori. Ad esempio, potrebbe diventare più facile cercare ispirazione all’interno dei social: il chatbot Meta AI potrebbe consigliare ad un giovane designer i post più rilevanti su un certo trend creativo (perché “ha imparato” cosa c’è su Instagram in quell’ambito). Oppure potrebbero nascere strumenti di editing automatico: filtri intelligenti, generazione di testi o caption accattivanti, remix video basati sul nostro stile, e così via – funzioni potenziate dal fatto che l’AI conosce tante opere di creativi simili a noi. Inoltre, alcuni fotografi potrebbero anche pensare: “Beh, se le mie foto finiscono nell’AI di Meta, in un certo senso il mio stile influenzerà il futuro della tecnologia”. C’è chi vede in questo fenomeno non solo un rischio ma anche un tributo involontario: l’AI, in fondo, impara da noi perché noi siamo bravi in qualcosa. Sta a noi poi continuare a innovare e differenziarci, sfruttando magari gli stessi strumenti AI come nuovi attrezzi del mestiere. Ad esempio, un videomaker potrebbe usare un sistema generativo per creare velocemente storyboard o bozze di montaggio, risparmiando tempo su compiti ripetitivi e concentrandosi di più sulla parte artistica originale.

Va detto però che queste opportunità rischiano di realizzarsi alle condizioni di Meta, non dell’utente. Meta deciderà come implementare l’AI e con quali limiti (anche etici). Se oggi ci offre la possibilità di opt-out è solo perché obbligata dalle normative – segno che la spinta commerciale a usare i dati è fortissima. Per i creativi, dunque, la parola d’ordine è consapevolezza. È fondamentale capire cosa sta succedendo: le piattaforme evolvono e cercano di trarre valore da tutto ciò che condividiamo. Questo non significa dover scappare o smettere di creare online, ma significa fare scelte informate. Un fotografo professionista potrebbe decidere, ad esempio, di tenere offline i suoi scatti migliori (o condividerli solo in bassa risoluzione) se non vuole che finiscano in qualche dataset. Un artista potrebbe inserire watermark digitali o utilizzare piattaforme alternative dove l’uso dei dati per AI sia escluso. Oppure, al contrario, qualcuno potrebbe volontariamente contribuire all’AI pensando che “tanto la tecnologia andrà avanti lo stesso, meglio farne parte e magari sfruttarla a mio vantaggio”. Non c’è una risposta unica valida per tutti: dipende dalla sensibilità personale e dalla natura dei contenuti che create.

Riflessioni personali 

 La mossa di Meta di usare i nostri dati pubblici per addestrare la sua AI, personalmente suscita sentimenti contrastanti. Da utente e creativo, da un lato vedo i rischi enormi: un’ulteriore erosione della privacy, un senso di sfruttamento silenzioso di ciò che condividiamo, e la prospettiva che le intelligenze artificiali si approprino in parte della nostra creatività. È un po’ come se stessimo costruendo – mattoncino dopo mattoncino, post dopo post – l’intelligenza di Meta, gratuitamente, e senza sapere esattamente a cosa porterà. C’è un elemento di asimmetria che mi disturba: Meta ottiene un valore immenso (un dataset ricchissimo su cui far correre i propri modelli), mentre noi utenti otteniamo vaghe promesse di “migliore esperienza” e qualche funzione in più. Funzioni che, ironia della sorte, magari ci renderanno ancora più dipendenti dalle piattaforme di Meta.

Immagino il caso concreto di un fotografo famoso: ha sudato anni per costruire un proprio stile, e ora quell’estetica potrebbe venire assimilata dall’algoritmo. Magari tra un anno l’assistente Meta AI sarà in grado di suggerire “filtri” o generare immagini ispirate proprio alle sue foto, per milioni di altri utenti. È affascinante ma anche inquietante. Il rischio, per i creativi, è di diventare fornitori involontari di materie prime (i dati, le idee, gli spunti) per un’industria tecnologica che poi rivende prodotti confezionati con quelle stesse materie prime. Un po’ come se un musicista scoprisse che le sue canzoni sono state usate per addestrare un’AI che ora compone brani simili su richiesta: ti sentiresti derubato o onorato? Probabilmente un po’ derubato, se nessuno ti ha chiesto il permesso.

D’altra parte, cerco di vedere anche le opportunità in questa situazione. È innegabile che l’AI rappresenti il futuro (anzi, diciamola tutta, il presente) e che più dati ha, più diventa potente. Se Meta riuscirà a creare un’AI veramente smart anche grazie ai miei contenuti, forse anche io – come utente – ne trarrò vantaggi nell’uso quotidiano. Penso alle potenzialità: potrei avere un assistente virtuale capace di comprendere riferimenti culturali italiani, dialetti, tendenze locali, perché si è “nutrito” dei nostri meme e delle nostre discussioni online. Potrei cercare ispirazione su Instagram con un prompt in linguaggio naturale del tipo “mostrami gli scatti di street photography più creativi a Napoli negli ultimi 10 anni” e l’AI, avendo analizzato milioni di foto, potrebbe effettivamente aiutarmi a scoprire chicche che altrimenti avrei perso. Per un creativo, sfruttare l’AI come strumento potrebbe aprire strade nuove: collaborare con l’AI invece di subirla. Ad esempio, un designer potrebbe chiedere all’assistente suggerimenti per migliorare un logo in base ai gusti del pubblico (gusti che l’AI conosce perché ha letto migliaia di commenti e post al riguardo). Insomma, se ben indirizzata, questa tecnologia potrebbe anche potenziare la nostra creatività, anziché impoverirla.

Il problema fondamentale è la trasparenza e il controllo. Finché le big tech operano in modo così opaco – annunciando all’ultimo minuto “ah, useremo tutto ciò che avete pubblicato, ok? Sevolete dissociatevi in 30 secondi se no, ups!” – è naturale reagire con sfiducia. Personalmente avrei preferito un approccio inverso: chiedere il consenso esplicito agli utenti, magari offrendo in cambio qualche benefit (esempio: “Vuoi aiutarci a migliorare Meta AI? Partecipa e avrai accesso anticipato a nuove feature…”). Così sarebbe stata una scelta positiva, non un obbligo da cui sottrarsi. Meta invece ha scelto la via meno consensuale, mettendo gli utenti di fronte al fatto compiuto (opt-out anziché opt-in). Questo già di per sé la dice lunga su come l’azienda considera i nostri dati: un patrimonio su cui ha quasi un diritto acquisito, salvo eccezioni. Per me questa è un’occasione persa in termini di fiducia.

Quindi, cosa fare? Il mio invito è alla consapevolezza e alla scelta informata. Non voglio dire a tutti “opponetevi ciecamente” né “lasciate fare a Meta”, perché ognuno ha situazioni e opinioni diverse. Ma informatevi! Se siete creativi e tenete alla paternità delle vostre opere, valutate seriamente l’opzione di opposizione (almeno sapete che i vostri post su Facebook/Instagram non diventeranno direttamente cibo per l’AI). Se invece pensate che in fondo la cosa non vi danneggi e magari siete curiosi di vedere un’AI più sveglia che conosce la vostra lingua e la vostra cultura, potete anche decidere di non opporvi. L’importante è che sia una scelta cosciente, non la conseguenza dell’ignoranza o della pigrizia.

Mi rivolgo in particolare ai giovani creatori: oggi condividiamo tutto online con leggerezza, ma stiamo imparando che ogni contenuto ha una vita più lunga e un utilizzo più ampio di quanto immaginassimo. Non c’è bisogno di aver paura della tecnologia, però dobbiamo smettere di considerare “gratis” ciò che in realtà gratis non è. Se un servizio è gratuito, spesso il prodotto siamo noi – ce lo ripetono da anni – e qui lo vediamo concretizzato: le nostre foto, le nostre parole, persino le nostre chat con l’AI sono il carburante. Questo non significa smettere di usare i social o l’AI, ma usare la testa: leggere (anche solo qualche articolo come questo), discutere tra di noi, far arrivare feedback a chi prende decisioni (le aziende e i regolatori).

La mossa di Meta può essere vista come un campanello d’allarme o come l’inizio di una nuova era. Probabilmente è entrambe le cose. Sta a noi, come comunità di utenti e creativi, decidere come reagire. Possiamo far finta di niente e lasciare che la corrente ci porti, oppure possiamo mettere dei paletti, reclamare i nostri diritti e guidare la tecnologia verso un modello più etico e rispettoso.

In definitiva, la tecnologia AI di Meta è una grande onda che si sta alzando: possiamo farci travolgere passivamente, oppure imparare a surfare. L’importante è non stare immobili in acqua senza guardare l’orizzonte. Quindi occhi aperti, informatevi sui vostri diritti (il link al modulo ormai lo sapete 😉), e fate la vostra scelta. Il futuro digitale lo stiamo costruendo noi, con ogni post e con ogni linea di codice – assicuriamoci di non perderne la co-costruzione per strada.

You deserve to shine

Azzurra Piccardi

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